Vannacci si è mangiato la Lega, Salvini insegue il “generale” a destra: ma è guerra con i governatori del Nord

Il raduno di Pontida

Roberto Vannacci o Matteo Salvini? Chi è il vero leader della Lega? È il dubbio che sorge al termine del consueto raduno del Carroccio a Pontida, da cui è emersa chiaramente la metamorfosi del partito fondato da Umberto Bossi.
Una “creatura” che, del movimento bossiano federalista, non ha praticamente più nulla, almeno nei suoi vertici. La dimostrazione plastica la si è avuta proprio nei discorsi dal palco della due giorni di Pontida, che hanno segnato una spaccatura evidente nel partito.
Da un lato i governatori del Nord e il “politburo” legato alle vecchie battaglie, che a loro modo hanno ribadito come l’anima federalista debba essere e rimanere il valore fondativo della Lega: in questa ottica vanno letti gli interventi dei presidenti di Regione come Attilio Fontana, Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Maurizio Fugatti, ma anche di politici navigati a Roma come Roberto Calderoli, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari.
Sull’altro fronte il dualismo destinato a segnare il futuro prossimo del Carroccio, ovvero Roberto Vannacci e Matteo Salvini. Quest’ultimo, ancora dolorante per i calcoli renali, è di fatto costretto a presentarsi sul pratone di Pontida per non lasciare la scena al “generale”, destinatario di cori da stadio dai giovani leghisti, come una rockstar.
Le sue parole d’ordine stonano con quelle della Lega di un tempo, con i richiami alla X Mas e ai temi più cari all’ultradestra europea: dalla fascinazione per la Russia di Vladimir Putin alla guerra culturale, con l’hate speech fatto passare per “libertà di espressione”, fino al nuovo santino Charlie Kirk.
È di fronte a questa “Opa ostile” di Vannacci e dei suoi “team”, organizzazioni create dai suoi fedelissimi che appaiono quasi come un partito dentro un partito, che il “capitano” sale sul palco per riappropriarsi del suo pubblico, paradossalmente seguendo l’agenda di Vannacci e spostando il Carroccio sulla scia dei partiti di estrema destra “classici”. D’altra parte le 500mila preferenze ottenute da Vannacci alle Europee del giugno 2024 sono lì a dimostrare la presenza dell’ex membro dell’esercito, già nominato vicesegretario di via Bellerio tra le polemiche dell’ala “nordica” del partito, sull’elettorato leghista.
Chi non ha intenzione di inseguire Vannacci e la sua retorica di estrema destra è Luca Zaia, presidente uscente del Veneto e voce più forte e autorevole nel Carroccio fedele alla linea federalista di un tempo. “Vannacci può essere un valore se fa il leghista”, mette in chiaro il governatore, che poi cerca di placare gli appetiti del “generale” sul partito: “In Lega abbiamo un sacco di persone in gamba, i segretari si scelgono nei congressi e coinvolgono il popolo della Lega”.
Il più coraggioso è probabilmente, in ottica anti-Vannacci, il presidente del Trentino Maurizio Fugatti, il solo a ricordare che tra le radici della Lega bossiana c’era anche “l’antifascismo”. Gli altri esponenti del Nord sono più moderati nei toni ma comunque netti. Come Riccardo Molinari, capogruppo a Montecitorio, che ricorda come la Lega “non ha bisogno di nessun cambiamento, né di rifarsi a ideologie che nulla c’entrano con la nostra storia”.
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